Confraternita Sant'Antonio Abate di Troina

Carità Christiana nel nome di Sant'Antonio Abate a Troina (XV-XVI Sec.)

di Silvestro Messina



La carità cristiana, da sempre, ha favorito l'assistenza agli infermi, il soccorso e ricovero dei pellegrini. Con le Crociate cominciò a diffondersi la forma più conosciuta dell'ospitalità medievale quella benefico-cristiana riconosciuta dalla Chiesa e praticata in xenodochia (dal termine greco xenònes=foresterie), monasteri, ospedali e ospizi.
Il pellegrino abbandonava lavoro e famiglia incamminandosi verso i luoghi di fede attraverso itinerari caratterizzati, soprattutto, dalla presenza di hospitalia. Anche in Sicilia ritroviamo un sistema di itineraria peregrinorum che convergeva su Messina consentendo l'afflusso di coloro che proseguivano alla volta di Gerusalemme, Roma e Santiago di Campostella. Consuetudine testimoniata fino al XVII secolo, anche se i secoli XII e XIII rappresentano il periodo di maggior sviluppo del pellegrinaggio.
Una via Francigena siciliana appare per la prima volta in un documento del 1089, transuntato in un diploma latino dell'imperatrice Costanza redatto nel mese di aprile del 1198, pubblicato da Raffaele Starrabba nel 1876. Stava ad indicare una rete di comunicazione che collegava alcuni territori lungo la Palermo-Messina. Il geografo arabo Idrisi nel 1154 ne documenta sia il percorso per le marine sia quello per le montagne. Quest'ultima includeva anche Troina, la quale già dall'età bizantina era inserita nell'itinerario montuoso che da Taormina giunge a Termini.
Per molte persone, pellegrinare "al servigio de l'Altissimo", come scrive Dante Alighieri (1265-1321) nella Vita Nuova, diviene un modo di sbarcare il lunario, affidandosi alla generosità di tanti. Il pellegrinaggio di devozione poteva, anche, servire per ottenere guarigioni, perciò si svilupparono venerazioni verso santi specializzati nelle varie infermità. Proprio per questo lungo i percorsi nel corso del XII sec. si edificarono diversi hospitali gratuiti, ossia ospizi dove accogliere i "vagabondi del Signore", gestiti da religiosi in osservanza alla settima opera di misericordia. Lo sviluppo di queste istituzioni si deve agli ordini ospedalieri. Strutture sorte esclusivamente per ospitare i pellegrini, più tardi si trasformeranno in veri e propri ricoveri sanitari.
Si hanno pochi indizi dell'esistenza di hospitalia nel territorio troinese.
Questo contributo non ha la pretesa di colmare tali lacune, ma quello di fornire brevi accenni sull'esistenza tra il Quattro-Cinquecento di una comunità di Canonici regolari di Sant'Agostino di Sant'Antonio, comunemente conosciuti come Antoniani.
Questi, allo stesso tempo, condividono la condizione dei preti secolari occupandosi della cura d'anime e quella di monaci dediti all'ascesi e alla preghiera liturgica. Notevole è l'impegno profuso all'ospitalità. Di fatto, disponevano di un apposito locale chiamato hospitium o hospitale destinato ai poveri e ai pellegrini. Facciamo un passo indietro nella storia. Intorno all'anno 532, per rivelazione divina, venne scoperto il sepolcro di Sant'Antonio Abate. Le reliquie cominciarono un lungo girovagare, da Alessandria d'Egitto a Costantinopoli, fino a pervenire nell'XI secolo in Francia a Motte Saint-Didier, nel Delfinato, diocesi di Vienne, l'attuale Borgo Sant'Antonio, dove fu innalzata una chiesa in suo onore. Il luogo divenne meta di folle di malati colpiti da ergotismo, causato dall'avvelenamento di un fungo presente nella segala usata per preparare il pane. I sintomi più caratteristici della malattia, secondo le descrizioni del tempo, sono alquanto significativi: convulsioni, dolori lancinanti alle estremità e vaste lesioni cutanee, accompagnate da febbre alta e senso di bruciore insopportabile. In Francia venne chiamata male degli ardenti e Fuoco di S. Antonio o Ignis Sacer (fuoco sacro) in Italia. L'ergotismo epidemico apparso alla metà del X sec., si sparse per tutta l'Europa. Nel Medioevo e in alcuni secoli successivi è compreso fra le pestilenze. La denominazione "Fuoco di S. Antonio" è anche, impropriamente, attribuita all'herpes zoster per l'analogia della sintomatologia principale, l'intenso bruciore della zona del corpo interessata.
Figura 1Si narra nelle Antonianae Histoire Compendium, redatte da Aymer Falcoz e pubblicate a Lione nel 1534, che un nobile di Vienne chiamato Gaston, colpito insieme al figlio Girondo dal male degli ardenti, una notte mentre dormiva nei pressi della chiesa di S. Antonio ebbe in sogno la visione del Santo che gli promise la guarigione se egli si fosse dedicato alla cura dei malati del "fuoco sacro". Gaston giurò e sopraggiunto il giorno con ammirazione di tutti apparve completamente risanato. Da quel giorno insieme al figlio si dedicarono a soccorrere l'ingente numero dei colpiti d'ergotismo e con la partecipazione d'altri nobili del Delfinato crearono una fratellanza laicale e fondarono nelle vicinanze della chiesa di Sant'Antonio di Vienne un ospitale.
La confraternita venne approvata nel 1095 da papa Urbano II (fig. 1) durante il Concilio di Clermont Ferrand e confermata come ordine ospitaliero da Onorio III con bolla papale nel 1218.
Figura 2Gli ospitalieri venivano chiamati i cavalieri del tau, per la loro divisa formata da una veste e da un manto nero, con distintivo in forma di Tau o "potenza di sant'Antonio" (fig. 2) di colore azzurro cucito sulla veste sul lato sinistro dalla parte del cuore.
L'ordine era anche militare per garantire agli assistiti una valida protezione da ladri e malviventi. Cresce rapidamente espandendosi in quasi tutta l'Europa, ma anche a Cipro, Costantinopoli, Atene e persino in Etiopia. Nel 1254 ebbero un loro capitolo generale, trasformandosi con l'intervento di papa Bonifacio VIII, il 10 giugno 1297, in un ordine religioso di canonici regolari retti dalla regola di sant'Agostino. Il Capitolo generale del 1298 approva la nuova "Regola" e cambia il nome in Ordine dei Canonici Regolari di S. Antonio di Vienne. Con questo nuovo assetto l'ordine si trasforma da militare-ospitaliero in un ordine strettamente religioso con funzioni ospedaliero.
In Italia sorgono hospitali lungo la via francigena presso il santuario di Sant'Antonio a Ranverso in Val di Susa (1188), a Roma (1190) e presso Napoli (1275?). Nel 1253 papa Innocenzo IV richiede ai cavalieri del tau di organizzare l'ospedale mobile della Curia romana deputato a seguire il Santo Padre nei suoi spostamenti.
Uno dei più antichi privilegi concessi dai pontefici agli Antoniani, oggetto di numerose controversie e abusi, era quello di allevare maiali che circolavano liberamente nei luoghi in cui vi erano case dell'Ordine e venivano alimentati a spese della comunità. Anche nel Regno delle Due Sicilie, Carlo V, riconobbe questo diritto all'Ordine. Come segno di riconoscimento, gli animali, portavano una campanella appesa al collo oppure avevano le orecchie o la coda tagliate. Essi vengono richiamati sia nella Divina Commedia (Paradiso, XXIX, 124) e sia nel Decameron (sesta giornata, novella 10), il capolavoro di Giovanni Boccaccio (1313-1375), con l'indimenticabile ritratto del questuante antoniano fra Cipolla.
Figura 3Secondo alcuni autori, anche se non avvalorata da documentazione, si afferma che gli Antoniani facevano uso del grasso o della carne di porco per curare il fuoco di sant'Antonio. In ogni caso per tradizione la terapia era prevalentemente fondata sull'acqua e sul vino consacrati.
Una conferma in tal senso è data dall'Antonianae Histoire (1534), riferendo: " Sappiamo che gli ammalati di quel male tremendo furono restituiti alla salute dopo aver implorato il patrocinio del santo e dopo aver cosparso o lavato le parti del corpo ammalato con il vino nel quale erano state immerse le sacre reliquie ".
L'intossicazione, come già riferito, si manifestava mangiando pane contaminato quindi colpiva normalmente interi nuclei familiari, ma anche intere comunità, che, animati dalla fede, si mettevano in cammino alla ricerca dell'aiuto divino presso i santuari del grande Sant'Antonio Abate. Probabilmente questo spiega le porte degli ospedali e dei chiostri dell'Ordine tinteggiate di rosso, simbolo del fuoco, oppure recavano dipinte le fiamme.
Figura 4In alcuni casi le conseguenti necrosi, determinate dagli effetti vasocostrittivi della tossina, diventavano presto cancrene maleodoranti e dolorose. Fra le mansioni di questi ospitalieri vi era quello di praticare le amputazioni degli arti cancrenosi, eseguita da chirurghi laici al loro servizio. Gli arti amputati delle persone scampate alla morte venivano essiccati e conservati come ex voto del sopravvissuto. A ricordarci l'inconsueta usanza un'incisione in rame del 1540 (fig. 4) eseguita dal pittore e incisore tedesco Martin Schongauer (1448-1491), conosciuto in Italia con il nome di Bel Martino o Martino d'Anversa.
Nel XV secolo i Canonici regolari agostiniani di S. Antonio di Vienne assistevano oltre 4000 pazienti in circa 370 ospedali.
L'ordine è riformato nel 1477, anno in cui erano presenti in Europa 192 precettorie generali e subalterne, nonostante ciò il Cinquecento segna una decisiva decadenza. Si tenta con una nuova riforma nel 1616, approvata nel Capitolo generale del 1618, ma intanto continua la chiusura di case. La situazione si aggrava, ulteriormente, per l'estinzione dell'epidemia di "fuoco sacro" e per gli sviluppi della riforma protestante. L'ordine si avviava all'estinzione.
Il capitolo generale del 25 ottobre 1774 decise la fusione dell'ordine con quello di Malta, sanzionata da papa Pio VI il 16 dicembre 1775. Con le bolle papali del 17 settembre 1776 e del 7 maggio 1777, viene sancita la fusione con l'Ordine di Malta. In Piemonte le proprietà degli Antoniani vengono incamerate dall'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, mentre nel Meridione passano sotto l'Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Per quanto riguarda le fondazioni in Sicilia, poche righe d'accenno si trovano nel secondo tomo della Sicilia Sacra dell'abate netino Rocco Pirri, riferendosi alla chiesa mazarese.
Una conferma della loro esistenza si ricava dai Beneficia ecclesiastica di Giovan Luca Barberi, redatti nel 1511, ed integrati fino al 1521, in esecuzione dell'incarico ricevuto dal maestro notaio netino nel 1509 da Ferdinando II per indagare sulla fondatezza giuridica e la natura dei benefici feudali, delle concessioni d'uffici e delle dignità ecclesiastiche esistenti nell'Isola. L'Abbazia di S. Antonio di Vienna e gli hospitali di Santo Spirito, San Lazzaro e S. Maria di Roncisvalle, risultano antiche fondazioni regali e dalle provvisioni emanate nell'anno 1409 da re Martino sono dichiarate di regio patronato.
Figura 5 Alla fine del Settecento in Sicilia risultano attivi 11 ospedali di S. Antonio. Dell'esistenza, anche qui a Troina, di una comunità dell'Ordine dei Canonici Regolari di Sant'Antonio di Vienne non si hanno notizie certe. Nondimeno, le opere di studiosi locali, anche se a volte incomplete e non sempre affidabili, hanno comunque il merito di averci tramandato i toponimi di queste strutture notoriamente scomparse. Però sorgono confusioni dal nome dei luoghi perché è mutato nel tempo.
In nota alla p. 25 alle Memorie paesane ossia Troina dai tempi antichi sin oggi (Catania 1901), il Mariano Foti Giuliano, riprendendo quanto riportato a p. 146 di una copia del ms. settecentesco del cappuccino frat'Antonino da Troina, posseduta all'epoca dal sac. Silvestro Scorciapino, contenenti evidenti aggiunte rispetto all'originale, ci conferma che "lungi circa due miglia dalla città v'era altra chiesa, nominata S. Antonio di Vienna, la quale era abbazia mitrata antichissima".
Figura 6Notizia ripresa nella Ricognizione generale dei Monumenti antichi della Città di Troina - redatta nel 1955 dall'avv. Vincenzo Squillaci - segnalandoci che " sorgeva a circa km. 5 ad est dello abitato di Troina, ed in contrada denominata "Manca di S. Antonio" ". L'autore della relazione ebbe la possibilità di osservare i ruderi del modesto edificio con un semplice portale in pietra arenaria locale (figg. 5-6). Al centro era posto uno scudo in pietra bianca con decorazioni baroccheggianti, recante l'iscrizione " 1616 ". Però l'emblema ivi scolpito, forse il Tau, ossia la crux commissa degli egiziani, era ormai corroso. A testimonianza dell'antichità dell'impianto lo Squillaci scrive: " altre tracce di antiche murature si vedono sotto i piedritti che sostengono l'arco di un terrazzino della vicina abitazione padronale (fig. 7). Intorno è un plurisecolare oliveto con sapiente sistemazione del terreno a terrazzamenti, caratteristica di alcuni ordini monastici".
Ancor'oggi, nella stessa area, con evidenti trasformazioni strutturali subite nel corso dei secoli il probabile luogo dell'ex abbazia antoniana conserva ben pochi elementi originari.
Situato in prossimità di una strada principale, l'attuale S.S. 575, l'insediamento non conserva nessun vestigio degli Ospitalieri. Vi doveva, tuttavia, essere annesso soltanto un ospizio per pellegrini. La costruzione era ad un solo piano, ad unica sala (pellegrinaio), a somiglianza del tipo a fienile adottato dagli ordini mendicanti e in particolare dai Francescani. Essendo una microstruttura poteva accogliere pochi ospiti alla volta.
Figura 7A parte i possibili annessi, questa sala si presentava come l'ospedale per eccellenza, soddisfacendo le varie esigenze umane sotto lo stesso tetto: abitazione, cibo-giaciglio e soprattutto servizio divino. E' ipotizzabile una non marcata differenza tra il volume cosiddetto pellegrinaio e la cappella vera e propria dove veniva officiata la funzione religiosa. In una nicchia trovava posto una statua di S. Antonio Abate. In un secondo tempo, dirimpetto alla chiesa, furono innalzati gli ambienti destinati alla comunità e le altre camere non a disposizione dei viandanti (fig. 7). Uno spazio a se stante per la clausura. A pianterreno trovavano posto il magazzino, la stalla ed il granaio. Adiacente i corpi della struttura, un ampio spazio per la prima accoglienza e la possibilità di dissetarsi nell'adiacente fonte d'acqua.
Tra le due riforme del 1477 e del 1616 che interessarono l'Ordine, si ritrovano molte precettorie o case antoniane unite alla mensa dell'Abate o al Capitolo e lo stesso titolo di precettore decadeva. In pratica, cessando del tutto la residenza, l'istituzione veniva meno. In mancanza d'archivi, spesso per puro caso la documentazione ci rivela la loro esistenza.
Le prime attestazioni ci pervengono dal prezioso Liber Rubeus della nostra cittadina da un atto risalente al 1562 con cui i Giurati di Troina nominano il frate Basilio Rotella rettore e abate della "ecclesiae abbatie sancti Antonii de Scarvj de Vienna". Il diritto di nomina dipendeva da una bolla apostolica rilasciata a Roma nel 1560. Alla morte del Rotella, in applicazione del privilegio di nomina, i Giurati eleggono il 17 gennaio 1583 a rettore e abate della stessa l'ex presbitero e cappellano della Chiesa Madre, padre Agostino Di Costa.
Comunque un'altra attestazione dell'esistenza di questi rettori-abati si ricava da una controversia sopravvenuta nel 1599 tra i Carmelitani dell'Antica Osservanza ed i Minori Conventuali. Lite generata in seguito alla concessione ai carmelitani nel febbraio del 1597 da parte dei Giurati della chiesa di S. Maria dell'Idria ubicata nelle vicinanze del convento dei francescani. L'assegnazione ebbe il plauso e la conferma da parte del Vicario generale dell'Arcivescovo di Messina in corso di Sacra visita. A dividere le due comunità religiose c'erano il palazzo inteso Torre Capitania ed un tratto di strada. Per la risoluzione, i frati del Carmelo avanzano una circostanziata supplica ai Giurati, i quali richiedono l'intervento dell'arciprete Pietro Vincenzo Tudisco. Quest'ultimo in calce al documento finale, redatto dai notai della Curia Spirituale, si sottoscrive in qualità di "abbatis sancti antonii archipresbiter dicte Civitatis". Inoltre è menzionato in modo esplicito come "archipresbitero et abbate Sancti Antonii de Vienna ipsius Civitatis, sempre nel 1599, nell'atto di fondazione della Confraternita del SS. Rosario. Di lui sappiamo che eccelleva per cultura, in lettere greche e latine. Nella Bibliotheca Sicula (II, Panormi 1714), del canonico Antonino Mongitore, viene menzionato per aver scritto l'opera: Vitam S. Silvestri Troynensis è Graeco in Latinum translatum, pubblicata a Roma nel 1617.
In seguito non si hanno notizie. Anche la casa antoniana di Troina si avviava a scomparire, mentre un altro ordine ospedaliero quello di S. Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), il 17 marzo 1592, prendeva possesso dell'ospedale civico di Troina. Essi saranno attivi nella nostra cittadina per quasi tre secoli e solo con le leggi eversive del nuovo stato unitario del 1866 sono costretti ad abbandonare il loro convento-ospedale.
A conclusione, ricordiamo che i padri basiliani della locale abbazia di San Michele Arcangelo nel 1743, secondo la regia visita del De Ciocchis, conservavano in un reliquario argenteo una reliquia di Sant'Antonio Abate.

Fonti e bibliografia utilizzata:
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G. ARLOTTA, Vie Francigene, hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia medievale, in Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo. Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale. Atti del Congresso Internazionale di Studi (26-29 ottobre 2000), a cura di M. Oldoni, tomo III, Salerno 2005.
G. BRICAULT, L'Ordre des Antonins, in AA.VV., Une abbatiale gothique. Un Ordre religieux Saint-Antoine en Dauphiné, Lyon 1985.
A.M. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino 2001.
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Sacrae Regiae Visitationes per Siciliam a Joannae Ang. De Ciocchis Caroli III regis jussu Acta decretaque omnia (1741-43), a cura di V. Mortillaro e G. Rossi, vol. II, Panormi 1836.
V. SQUILLACI, Chiese e Conventi. Memorie storiche e folkloristiche della città di Troina, Catania 1972.
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